Un’Italia a due velocità con il Sud che nella Fase 2 procede più velocemente e il Nord che frena in attesa delle condizioni per poterlo fare in sicurezza.
È giusto? La smania di ritrovare la normalità non rischia di trasformarsi in un cavallo di Troia per il Meridione che aveva tenuto testa all’infezione perché è riuscito a frenare la marcia del virus in tempo? Il timore di una nuova ondata non dovrebbe consigliarci cautela anche qui?
“Credo che avere un atteggiamento variabile a seconda della Regione in cui ci si trova non sia del tutto sbagliato” ci dice Matteo Bassetti, primario di Infettivologia al San Martino di Genova. Che sottolinea però “i comportamenti virtuosi appresi e messi in pratica in questi mesi non devono essere abbandonati”.
Per cui lavare di frequente le mani, mascherina e distanza fisica restano prioritari anche e soprattutto adesso, così da non ridare gambe al virus.
Detto questo, il ritorno alla normalità non è solo una necessità economica per il Paese ma è quasi fisiologica per ciascuno di noi. E per la salute di ciascuno di noi prima di tutto.
“In questi due mesi – dice ancora Bassetti – ci siamo occupati quasi esclusivamente di Covid-19 ma la gente ha continuato a star male, a avere altre infezioni, a avere infarti, ictus”.
La grande eredità di Covid è tutta ancora da calcolare in realtà, diagnosi posticipate o peggio ancora non fate ci presenteranno la fattura più in là. Anche per questo era importante voltar pagina. A consentirlo sono stati essenzialmente i dati che sembrano indicare una minor virulenza del nuovo coronavirus. Vero o no?
“I virus mutano, su questo non c’è dubbio, si possono indebolire così come possono anche rafforzarsi. I nostri virologi potranno dirci di più su questo specifico coronavirus. commenta Bassetti. È vero comunque che oggi il virus sembra avere una carica virulente minore; dal punto di vista medico quello che vedo è un minor numero di casi, e vedo una minor aggressività. Questo vuol dire meno posti occupati in terapia intensiva, minor numero di caschi usati per la ventilazione e in definitiva minor numero di morti”.
In attesa di un vaccino, la plasmaferesi, l’uso del plasma di persone guarite dall’infezione, che sta sperimentando il Poma d Mantova e il san Matteo di Pavia, può essere un’alternativa?
Bassetti su questo punto non si sbilancia. “In letteratura – spiega – abbiamo appena 25 casi e uno di questi risulta peraltro tutt’altro che positivo”.
Però la sperimentazione a Mantova sta dando buoni risultati, non le sembra? Non c’è piuttosto una chiusura verso quest’esperienza?
“Cautela, ancora cautela. In fase d’emergenza abbiamo sperimentato tutto, adesso che l’emergenza è quasi finita credo si debba essere più cauti, E finché non ci saranno dati certi e scientificamente rilevanti la miglior consigliera resta la cautela. Sul plasma abbiamo pochi articoli, quasi aneddotici, in tutto 25 pazienti trattati, in letteratura – ricordo che il sistema da seguire e quello della rigorosità scientifica – pazienti che hanno dato risultati variabili, alcuni addirittura molto contraddittori, in un caso recente, addirittura, non c’è un miglioramento bensì il contrario. Non sappiamo ancora quanto plasma dobbiamo iniettare, non sappiamo i valori da considerare significativi come numero di Ig all’interno delle sacche di plasma. Resto cauto ma non mi chiudo di fronte al questa opzione”.
In attesa che il PoMa di Mantova e il san Matteo di Pavia pubblichino i lori studi su riviste internazionali, resta una sistema sanitario italiano che esce in ginocchio dalla crisi. Quale lezione ci ha dato Covid-19 e cosa fare a partire già da domani?
“Ci vorrebbe un piano Marshall per la sanità. Si parla giustamente dell’economia, ma si deve parlare anche di sanità. Si deve tornare a investire nella sanità. Tre punti mi sembrano imprescindibili: bisogna investire in cultura medica e infettivologa che è fondamentale nel prevenire questo tipo di pandemie. Il fato che l’Italia abbia raddoppiato il numero di posti letto in terapia intensiva è una grande conquista da non abbandonare. Perché una terapia intensiva robusta è sintomo di una sanità pubblica sana, in forza. E ultimo, ma non meno importante: dobbiamo investire in ricerca”.
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